Alzi la mano chi non rimpiange la Formula 1 dei tempi andati: macchine innovative e diverse da team a team, scuderie nate nei garage di casa, regole chiare, poche penalità, zero safety car e una diffusa consapevolezza che le competizioni motoristiche fossero pericolose per natura. Da qui l’accettazione dei rischi, senza se e senza ma. La Formula 1 di oggi è l’esatto contrario di quella appena descritta: monoposto fotocopia, costi esagerati, test limitati, budget cap, regolamenti cervellotici e di difficile interpretazione (da Abu Dhabi 2021 a Suzuka 2022 se ne sono viste di tutti i colori), penalità a chi mette un millimetro di ruota oltre i cordoli e safety car in pista per un sassolino sulla pista.
E ancora: calendario spalmato su un numero spropositato di appuntamenti, Gran Premi in circuiti avveniristici e senza storia, punti alla metà dei piloti in griglia (all’epoca venivano premiati solo i primi sei), ecc. Ma la punta dell’iceberg è l’introduzione di “espedienti” per favorire chi va più piano (e quindi ha lavorato peggio o è semplicemente più scarso). L’ala mobile ne è l’esempio più recente. Se si è in scia a un pilota che sta davanti perché va più veloce basta schiacciare un tasto e come per magia si guadagnano 20 chilometri di velocità massima e lo si “svernicia” in rettilineo. Uno stratagemma per attirare spettatori, che desiderosi di vedere sorpassi.
Ma i tifosi vecchio stampo, quelli che di Formula ci capiscono davvero e sono cresciuti con la benzina nei biberon, non possono esaltarsi assistendo a un sorpasso finto, artefatto. Piuttosto, meglio una gara noiosa, ma “vera”. La posizione ce la si deve guadagnare in pista, staccando più tardi e rischiando, e non prememdo un pulsante sul volante. I nostalgici dei vari Senna, prost, Mansell questa Formula 1 non riescono a digerirla. Quando si comincia a penalizzare i più forti in nome dello spettacolo si imbocca una strada sbagliata. E’ come se dopo ogni vittoria, la Red Bull di Max Verstappen venisse zavorrata di dieci chili per renderla più lenta e permettere alla concorrenza di limare il gap. Oppure, come purtroppo si sta pensando di fare, la griglia di partenza venisse invertita in base ai risultati delle qualifiche o del GP precedente: chi ha vinto parte ultimo, chi è arrivato secondo scatta penultimo e così via. Fino a vedere la “maglia nera” del sabato (o della domenica precedente) in pole position.
Una cosa del genere la si è sperimentata per anni nelle categorie minori, laddove sono previste due gare nello stesso fine settimana. E anche in Superbike, qualche anno fa, l’ordine di arrivo di gara-1 determinava la griglia di gara-2, ma all’incontrario. Un modo per contenere la superiorità di Jonathan Rea, il cannibale delle derivate di serie. Ora anche la Formula 1 guarda in questa direzione. Chi tira i fili, evidentemente, non ha a cuore la passione, ma guarda ai freddi numeri. Ormai non ci si rivolge più al vero appassionato, ma alla massa pagante. Di questo passo si perderà quel poco di credibilità ancora rimasto.