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Loris Capirossi, una vita senza paura (seconda parte)

Non ha mai vinto un titolo nella classe regina, eppure è considerato uno dei piloti più famosi della storia. Loris Capirossi ha contribuito a scrivere pagine indelebili di questo meraviglioso romanzo che è il motociclismo. In questa seconda puntata, pubblichiamo altri estratti del suo “65. La mia vita senza paura”, autobiografia vincitrice nel premio Bancarella Sport nel 2017.

IL PRIMO MONDIALE

Siamo nel 1990, l’anno della svolta per Loris. Archiviato il Campionato Europeo, è tempo di passare con i “grandi”. Il team Pileri, una “istituzione” nel mondo delle moto, ingaggia il pilota di Borgo Rivola per correre il Mondiale 125. Il compagno di squadra di Capirossi è Fausto Gresini, suo idolo fin dall’infanzia. L’esordio è da leccarsi i baffi e lustrarsi gli occhi: Loris vince diverse gare e conquista il Mondiale da rookie, a soli 17 anni. Un record tuttora imbattuto. In Australia, atto finale del campionato, va in scena una gara drammatica. «Infilo Spaan alla Honda Corner e sfreccio via in stato di grazia. Dietro di me, le acque del mare tricolore si richiudono impietosamente su Spaan. Fausto lo ostacola con tutto se stesso, gli sbarra ogni singola porta. Romboni o Casanova filano via e li lasciano indietro a maltrattarsi. In un impeto di rabbia, Spaan si libera dalla morsa di Fausto e mi corre appresso, ma ormai è tardi. Ho appena tagliato il traguardo. Sono campione del mondo 1990 classe 125».

UEDINO

Vinto il Mondiale, Loris diventa una star. Nel 1991 punta al bis, ma deve fare i conti con un giapponesino che gli dà filo da torcere. Quando quest’ultimo è vittima di un pauroso incidente sulla pista di Misano e non può prendere l’aereo perché ha battuto la testa, la mamma di Loris lo ospita a casa loro! «Noboru Ueda prende posto al tavolo della mia cucina. Da vicino è proprio esile, e poi, con la testa fasciata e gli occhiali che non sa mai come appoggiarli sulle orecchie, sembra un fiammifero… Mio babbo lo chiama Uedino… Non parla nemmeno inglese, che tanto qui non lo sa nessuno. Lui parla la sua lingua e noi la nostra. Ueda vive con noi da tre settimane. A Borgo Rivola. Quasi tutti i giorni pranza con mia nonna».

LA GILERA

Vinto il secondo Mondiale consecutivo, il 65 diventa uomo mercato. La Gilera lo chiama per correre in 250 e per convincerlo gli fa una proposta indecente, che Loris però rifiuterà. «L’ingegner Martini appoggia i gomiti sulla scrivania e congiunge le punte delle dita: “Due miliardi di lire, signor Capirossi. Un miliardo l’anno”. “U-un miliardo l’anno”, dico senza riuscire a smettere di balbettare. “Un miliardo l’anno”, sorride Martini. “La prego di tenere in seria considerazione la nostra proposta, signor Capirossi”. Un minuto di silenzio. Un lungo minuto di silenzio».

KOCINSKI

Nel libro ci sono diversi aneddoti legati al Motomondiale. Uno riguarda il mitico John Kocinski, che in una gara della 250 nel 1992 arrivò terzo ma non si presentò sul podio. «Quando dai box mi comunicano che Doriano (Romboni, ndr) è fuori dai giochi, acquisto sicurezza e spingo. Vinco la gara con un margine discreto, 3 secondi su Tetsuya (Harada, ndr). In terza posizione si piazza John Kocinski, ma sul podio non ci sale nemmeno. Kocinski ha le palle in giostra e nessuno sa perché. Magari avrebbe voluto stare davanti a Tetsuya – tra i due ci sono appena sette decimi – o forse il suo cavallo di ferro l’ha tradito sul più bello. Fatto sta che il cowboy di Little Rock, appena rientra ai box, manda di proposito in fuorigiri il motore della sua Suzuki fino a farlo esplodere. Quando si dice la frustrazione… Risultato: la casa di Hamamatsu lo licenzia su due piedi il giorno stesso. Bye bye, John: game over».

IL SOGNO 500

Nel 1995, Capirossi fa il salto in 500. L’apprendistato è traumatico. L’inizio non proprio indimenticabile. «La 500 due tempi è una meraviglia, è la quintessenza delle moto veloci. È come essere seduti su un razzo. Un razzo con cui puoi buttarti in piega. O per terra, dipende. La prima parte del campionato è di ragionamento, diciamo: a Eastern Creek ottavo posto risicato, a tipo 45 secondi dal primo… In Malesia mi centra Norifumi Abe e mi massacra un dito. In Giappone son di nuovo a terra, perché vado veramente senza limiti. A Jerez, in prova, nell’ultimo curvone ficco una legnata, ma una legnata… Il giorno dopo, in gara, comunque faccio sesto. In Germania, al Mugello e ad Assen non vado mai davvero bene: strappo un quarto posto con le unghie e con i denti, ma non vedo un podio da mesi».

«MI REGALI LA TUTA?»

È il 1995: Valentino non è ancora Valentino, nel senso che sbarcherà nel Mondiale solo l’anno successivo. In estate si presenta a Brno, in Repubblica Ceca, in veste di tifoso. Loris racconta il suo primo contatto con il futuro nove volte campione del mondo. «”Oh, mi regali il casco?”. “E poi come faccio, in gara?”. “E i guanti? Loris, mi regali i guanti?”. “Molla, te l’ho detto: ne ho solo un paio”. “Dai, almeno la tuta, Loris. Quando hai finito la gara, cosa ti costa?”. “Ma se sei trenta centimetri più alto di me! Non ti va mica bene!”. “Figurati se la metto, dai! La piazzo sotto vetro e me la guardo tutti i giorni: una roba sacra! Ma ci pensi? Che figata, sarebbe! Lo farei davvero, eh! Te sei il mio mito, Loris!”. Alcuni fan sono più tenaci di altri, e non ti mollano. Tipo questo ragazzo qua: avrà sedici anni, se li ha. Sei in meno di me. Il ragazzo si chiama Valentino. Valentino Rossi. L’anno prossimo debutta nella 125».

IL TERZO MONDIALE

Nel 1998 Capirossi vince il suo terzo e ultimo Mondiale. Lo conquista nella due e mezzo, al termine di una gara che definire rocambolesca è un eufemismo. Loris si gioca il titolo con il compagno di squadra Tetsuya Harada. Il finale è da film: l’italiano, con una manovra al limite, fa cadere il giapponese e vince il Mondiale. Nei giorni successivi verrà licenziato in tronco dall’Aprilia. «Alla 13 chiudo il gas e lo lascio passare. Mi ficco dietro di lui, pronto a infilarlo alla tornata finale. Sinistra, destra e destra veloce. Harada allarga troppo, io mi butto dentro senza pietà, dritto come una spada. Quando Tetsuya chiude ci tocchiamo: il suo manubrio destro si aggancia al mio codone e percorriamo alcuni metri agganciati mentre la mia moto sbacchetta. Poi Tetsuya cade nella ghiaia, io vado largo ma rimango in pista. Mi basta dargli un altro colpetto di gas e davanti ho solo il rettilineo. Lo percorro a braccia incrociate, sopraffatto dall’emozione. Poi alzo il braccio destro e punto l’indice al cielo. Sono il campione del mondo 1998 classe 250».

SHOCK ANAFILATTICO

Loris in carriera si è fratturato di tutto e guidando a 300 all’ora ha rischiato di morire tante volte. Eppure i rischi più grossi li ha corsi a causa di… un’ape. «Le prove stanno terminando e Valentino si è lanciato per fare il suo ultimo giro veloce. All’uscita della Rivazza la mia moto sbanda, è completamente fuori controllo. Vale, per non prendermi in pieno, rallenta e si brucia l’opportunità di fare il tempone. Furente come una iena, Vale fila dritto da Carlo Pernat (il manager di Loris, ndr) e gli urla dietro. Dopodiché se ne va imprecando. Carlo ci rimane male, davvero non sa che pesci pigliare. A quel punto arrivo io, la moto non sta dritta, e io neppure. Levo il casco e dico: «Muoio!». Sto soffocando. Un’ape mi è entrata nel casco durante l’ultima tornata e mi ha punto. Sto morendo soffocato: shock anafilattico. Vengo trascinato alla Clinica Mobile, dove Claudio (il dottor Costa, ndr) mi fa un’iniezione di cortisone e le vie aeree tornano a spalancarsi».

RENATO

Nel 2002 Loris è coinvolto nel tragico investimento di un anziano, suo compaesano. Si chiamava Renato. «Renato Sangiorgi ha 73 anni, è pensionato e abita qui. Viene dall’orto, in bicicletta. Appeso al manubrio ha un secchio di terra, sulla spalla un badile. Pedala incerto di fianco a me, io rallento. A un tratto il badile gli scivola dalla spalla, Renato gira il manubrio verso di me. La sua ruota è davanti alla mia auto, all’improvviso. La tocco e Renato Sangiorgi cade. Renato va in terra, e batte la testa. Inchiodo, corro a prestare soccorso. È incosciente. “Andava piano”, “Andava pianissimo”, ripetono tutti. Io non sento niente, la testa non la smette di ronzare. Renato non si sveglia più. Renato Sangiorgi muore appena arrivato all’ospedale di Faenza. È il 7 maggio 2002. Da oggi niente sarà più come prima».

UN GIORNO MALEDETTO

Un altro giorno tragico è quello del 23 ottobre 2011, quando muore Marco Simoncelli. Pochi giorni dopo, Loris annuncia il ritiro dalla corse. «Il 23 ottobre 2011 è uno dei giorni più brutti della mia vita. Il 23 ottobre 2011 la vita di tanti cambia per sempre. La partenza non è niente di che, ma dopo 4 minuti la gara è già finita. Finita per sempre. Tra la fine del primo giro e l’inizio del secondo Marco se le dà con Bautista per conquistare la quarta posizione alle spalle di Stoner, Pedrosa e Dovizioso. Come sempre, il Sic dimostra di avere le palle: quello con Alvaro è un duello in piena regola, senza esclusione di colpi. Io son dietro. Parecchio dietro. La curva 11 è una destra lenta. Ma qualcosa va storto: oggi è un giorno maledetto. Marco rimane sotto la moto, forse ha il piede destro incastrato nella pedana. La sua Honda è leggermente sollevata da terra, la gomma davanti non tocca l’asfalto. Quando, dopo un sobbalzo, ridiscende, trascina mezzo e pilota verso il centro della pista. Proprio quando stiamo arrivando. Siamo tutti là dietro e stiamo arrivando. Hayden e Bautista lo scartano per un soffio all’interno. Sono vicinissimi. Sopraggiungono Colin Edwards e Valentino Rossi, in piega a più di cento all’ora. Colin impatta contro Marco: la violenza dell’urto è devastante. Anche Vale lo colpisce fortissimo. Marco non ha più il casco. Marco è immobile. Alle 16.45, ora di Sepang, il mio amico Marco Simoncelli muore. È il 23 ottobre 2011. Un giorno maledetto».

(2 – fine)

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