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Il Crashgate del 2008

Ci sono gare che restano impresse nella storia per i duelli che le hanno caratterizzate. Altre per episodi decisamente poco edificanti. E’ il caso del Gran Premio di Singapore del 2008, passato agli annali come quello del Crashgate. Questa storia comincia dalla fine.

Sotto la bandiera a scacchi transitano nell’ordine Fernando Alonso su Renault, Nico Rosberg su Williams e Lewis Hamilton su McLaren. Il giovane inglese, grazie al terzo posto e 6 punti (vigeva ancora la vecchia assegnazione del punteggio: 10 al primo, 8 al secondo e 6 al terzo…), allunga in testa alla classifica iridata portando il suo vantaggio su Felipe Massa da +1 a +7. Il brasiliano è stato infatti frenato da una sosta ai box ai limiti del comico. Oltre che assai pericoloso. Massa, scattato dalla pole e leader della gara fino a quel momento, riparte quando i meccanici sono ancora impegnati nel rifornimento. Risultato: percorre l’intera corsia box con il tubo della benzina che penzola dal bocchettone.

Una disavventura figlia di quello che è successo poco prima. Nelson Piquet Junior, figlio del tre volte iridato Nelson, ha distrutto la sua Renault contro le barriere di protezione, costringendo i commissari a mandare in pista la safety car perché in quel punto non c’è nessuna gru. Come si conviene in questi casi, tutti o quasi i piloti approfittano della neutralizzazione della corsa per andare ai box a cambiare le gomme e a rifornirsi di carburante. L’unico a non farlo è Fernando Alonso, ma solo perché ha anticipato la sosta al giro precedente, cioè appena prima che il compagno di squadra, Piquet appunto, accartocciasse la sua Renault contro il muretto. Un caso? Un colpo di fortuna? Niente di tutto ciò. Si scoprirà successivamente che l’incidente di Nelsinho era stato programmato proprio per consentire ad Alonso di guadagnare la testa della corsa. Essendosi già fermato, infatti, l’asturiano era già dotato di gomme nuove e di benzina sufficiente a percorrere il secondo stint di gara. Per arrivare a questa triste verità ci sono voluti anni. Anni di mezze ammissioni e di processi. La Fia, la Federazione internazionale, ha individuato in Flavio Briatore e Pat Symonds i colpevoli del complotto, radiando il primo e squalificando il secondo. Assolti invece Alonso, ignaro del piano diabolico e antisportivo ordito dal muretto, e perdonato Piquet, che ha vuotato il sacco l’anno successivo per vendicarsi della Renault che lo aveva licenziato per scarso rendimento.

Grazie ai punti conquistati da Hamilton e a quelli persi da Massa, il titolo andrà proprio all’inglese, che a San Paolo, nell’ultimo GP vinto dal brasiliano, arriverà quinto grazie un discusso sorpasso all’ultima curva ai danni del tedesco Timo Glock. Ma questa è un’altra storia. L’inglese festeggerà per appena un punto, gelando milioni di brasiliani.

Sono trascorsi tre lustri dal Mondiale più discusso di sempre, ma la querelle è tutt’altro che chiusa. Il fuoco arde ancora sotto la cenere. Felice Massa, principale vittima della vergognosa messinscena orchestrata dal muretto Renault, sta preparando una causa per ottenere quel titolo. Che avrebbe conquistato se la Fia avesse cancellato il GP di Singapore. Cosa che avrebbe dovuto fare ma che non ha fatto per non sollevare lo scandalo. Per nascondere la polvere sotto al tappeto. Era al corrente dei fatti, ma non ha mosso un dito pur di salvare la faccia al cospetto del mondo intero. Lo ha ammesso il quasi centenario Bernie Ecclestone, all’epoca padre padrone della F.1 in quanto capo della Fom, in una recente intervista. La battaglia di Massa per ottenere ciò che gli spetterebbe di diritto è partita proprio dopo le parole di Bernie. Il brasiliano, però, sta trovando davanti a sé un muro invalicabile. La Liberty Media, che oggi organizza e gestisce la Formula 1, gli sta voltando le spalle. A Monza ha preteso che Felipe non si presentasse in circuito. Dove invece ha fatto passerella Flavio Briatore, nel frattempo reintegrato nel paddock nel ruolo di “ambasciatore”. Una comica. Massa, da parte sua, va avanti nella sua battaglia.

A margine del GP d’Italia Massa (foto di copertina di Franco Bossi) ha dichiarato: “Ho una certezza: quel titolo è mio ed è il 16° titolo piloti della Ferrari. Ho ingaggiato un team di legali molto forti”. Lotteremo fino alla fine per ottenere giustizia in questo sport. Non capisco perché un caso di manipolazione non possa essere verificato nel modo giusto, anche se un anno, due anni o 15 anni dopo. In questo momento non ho ancora avuto il supporto della Ferrari, ma mi aspetto un aiuto da loro. Sono ottimista: lotterò per la giustizia fino alla fine”. Siamo con te Felipe.

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