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Dovi, elogio alla “normalità”, annuncia l’addio alla MotoGP

La sua autobiografia, “Asfalto”, è un elogio alla normalità. E’ la storia di un ragazzo come tanti altri che avrebbe voluto continuare a essere come tanti altri. Ma fare il pilota professionista e correre nel Motomondiale per 21 anni non ti permettono di vivere nell’ombra. Finisci inevitabilmente sotto i riflettori, anche se non lo vorresti. Tu soffri, schivi il più possibile la vita da star, ma alla fine ne sei comunque travolto. Andrea Dovizioso da Forlimpopoli si distingue dal pilota comune. Un anti-divo mescolato a un plotone di primedonne. Non ha nemmeno un profilo social. L’amico Luca Cadalora, molti anni fa, lo ribattezzò “asfalto” perché sembrava invisibile. In mezzo a troppi piloti-vip, lui si mimetizzava con il grigio della pista. Andrea ha usato quel soprannome per il titolo dell’autobiografia, uscita qualche anno fa, nel pieno della sua esperienza in Ducati. Per il Dovi, insieme al Mondiale 2004 in classe 125, gli anni in rosso sono stati i più belli e importanti della sua carriera. Per tre volte è stato vicecampione del mondo, lottando (quasi) ad armi pari nientemeno che con Marc Marquez, nel periodo migliore dello spagnolo. Andrea gli ha tenuto testa, sfiorando il titolo nel 2017.

Tre volte dietro a Marquez

In classe regina il Dovi ha conquistato 15 vittorie, di cui 14 con la Desmosedici. Ci ha messo un po’ a trovare il feeling con la moto di Borgo Panigale, lui che veniva dalle esperienze in Honda e Yamaha. Ma a un certo punto, dalla fine del 2016 in poi, il legame tra Andrea e la Ducati si è fatto via via sempre più forte. Il loro non è stato un colpo di fulmine ma, a posteriori, possiamo tranquillamente parlare di un matrimonio riuscito. Il Dovi ha corso con la tuta rossa per otto stagioni: dal 2013 al 2020, ereditando la sella da Valentino Rossi, che alla fine del 2012 lasciò la Casa bolognese per tornare dalla “sua” Yamaha. Il pilota romagnolo ha impiegato un anno per salire sul podio (terzo nel 2014 a Austin) e tre anni e mezzo per festeggiare una vittoria (Malesia 2016). Ma con il successo a Sepang è scattato qualcosa. Il 2017, con Jorge Lorenzo come compagno di squadra, è stato il miglior anno del Dovi: la stagione è terminata con 261 punti in campionato e il primo simbolico titolo di viceiridato alle spalle di Marquez. Ne sono seguiti altri due, nel 2018 e nel 2019, sempre dietro a Magic. Nel 2020, con l’infortunio dello spagnolo, gli si è presentata l’occasione della vita: era il favorito a raccogliere l’eredità del 93, fermo ai box tutto l’anno. Ma Dovi non ne ha approfittato, incappando in una stagione che definire storta è un eufemismo. E a fine anno si è conumato il divorzio con la Ducati.

Dall’asfalto allo sterrato

Dopo mezza stagione in naftalina, la Yamaha lo ha richiamato per affidargli una vecchia M1. Lui, che nel frattempo aveva fatto alcuni test con l’Aprilia, ha accettato e si è rimesso in gioco, chiudendo il 2021 in crescendo ma con soli 12 punti in cinque gare. Nel 2022 gli è stata affidata una moto ufficiale, pur restando nel team satellite RFN. Ma la miseria di dieci punti in undici gare hanno aperto uno squarcio nella mente del Dovi, che durante la pausa estiva ha comunicato che al termine della stagione lascerà definitivamente la MotoGP. “Inutile continuare così, i riusltati non arrivano e io non mi diverto. Con questa moto riesce ad andare forte solo un pilota”. Il riferimento è a Fabio Quartararo. A meno di sorprese, quindi, il 36enne saluterà il paddock con 350 Gran Premi alle spalle, 24 vittorie complessive, 103 podi, 20 pole position e 22 giri veloci. Oltre naturalmente al Mondiale del 2004, fiore all’occhiello di una bella carriera. A cui è mancata però la ciliegina di un titolo in classe regine. Ora ad attenderlo c’è il motocross, con un progetto che svelerà nei prossimi mesi. Chissà se cambierà anche il soprannome: da asfalto a sterrato…

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